Il ransomware è la minaccia numero uno per le PMI

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Ecco cosa devono fare le PMI per aumentare la sicurezza informatica e prevenire attacchi ransomware.

Il ransomware è una minaccia reale, con un impatto su tutti i settori e con attacchi sempre più frequenti e sofisticati. Eppure, poche PMI si rendono davvero conto di essere maggiormente a rischio: solo nel 2022, infatti, il 61% di tutti i cyberattacchi hanno avuto come obiettivo le piccole-medio imprese in tutto il mondo.

Parte dell’appeal nei confronti delle PMI è dato dal fatto che conservano una quantità ingente di informazioni riservate, dalle cartelle cliniche ai conti bancari, che i criminali informatici possono vendere o criptare per richiedere un riscatto. Delle azioni che possono mettere le imprese in difficoltà: dai costi per contrastare un attacco ransomware o pagare le multe in caso di violazione delle leggi sulla riservatezza, fino alla perdita di fiducia dei clienti, su cui molte PMI fanno affidamento, mettono in luce la reale pericolosità di un attacco.

Oltre ad essere la minaccia principale, col passare del tempo è destinata ad aumentare. Dalla transizione al cloud, all’uso di piattaforme SaaS per facilitare l’accesso da remoto per lo smart working, è esposto un numero sempre crescente di dispositivi.

Come possono quindi le PMI prevenire al meglio un attacco ransomware?

Perché i ransomware contro le PMI sono in aumento

Alti profitti

I criminali informatici stanno perfezionando gli attacchi ransomware perché sono più veloci da implementare e offrono compensi molto vantaggiosi. Grazie a questi attacchi, i criminali ottengono l’accesso a dati di valore e li criptano in modo che non siano accessibili senza prima aver ottenuto un codice di sblocco in cambio di somme elevate, sottoforma di criptovalute non tracciabili (il termine ransom significa appunto riscatto).

Ovviamente, trattandosi di criminali, non ci sono garanzie che i dati vengano restituiti una volta pagato il riscatto o che venga richiesto altro denaro.

Target facili da raggiungere

L’adozione massiva del lavoro da remoto ha evidenziato che le PMI hanno una superficie di attacco più ampia e budget di cybersecurity più bassi. Questo le rende un bersaglio facile per gli hacker, che possono accedere con facilità ai dati, in quanto non si affidano a un team dedicato alla sicurezza informatica o non si avvalgono di maggiori risorse per implementare le più recenti tecnologie di prevenzione.

Le tipologie di attacco

Il ransomware viene distribuito spesso tramite e-mail di phishing che si basano sull’indurre a prendere una decisione inopportuna. Gli attaccanti di solito, per dare credibilità al messaggio, utilizzano un brand di fiducia o falsificano l’indirizzo e-mail di un collega, per poi chiedere alla vittima di cliccare su un link falso, che potrebbe diffondere un ransomware.

Altre tecniche possono coinvolgere il social engineering, attraverso il quale l’hacker raccoglie informazioni sulla vittima per costruire un rapporto di fiducia e ottenere le sue credenziali di accesso, utilizzabili successivamente per lanciare un attacco.

Solitamente le PMI dispongono di una qualche forma di protezione per i propri laptop, server e desktop, ma spesso non basta. Con un numero sempre maggiore di persone che utilizzano i dispositivi personali per lavoro, quasi l’80% non sono protetti adeguatamente.

Basta solo un cellulare, un tablet o un laptop, e un solo dipendente che scarichi un file malevolo o clicchi su un link falso, per mettere in pericolo l’intera rete aziendale. Di conseguenza, è importante che le PMI prevedano una formazione adeguata al proprio personale e lo rendano consapevole del rischio, in modo da ridurre la probabilità di cadere vittima di una truffa.

Alcuni consigli per proteggere la tua PMI

In primo luogo, tutte le organizzazioni dovrebbero essere al corrente delle patch di sicurezza, condividerle con tutti i dipendenti e installarle con prontezza su tutti i dispositivi utilizzati. Risulta quindi fondamentale migliorare i processi interni, in modo da far eseguire gli aggiornamenti in modo rapido ed efficiente.

In secondo luogo, i backup dovrebbero essere frequenti e non collegati al server principale. Spesso le aziende si sentono eccessivamente sicure perché hanno un backup, ma in molti casi questi sono salvati sulla stessa rete di tutti gli altri dati, dunque ugualmente esposte durante un attacco.

Le imprese dovrebbero dunque disporre di un backup di rete fuori sede, in modo che attraverso la recovery i dipendenti possano accedere ai file chiave per poter continuare con le attività quotidiane.

In conclusione, il ransomware rappresenta un pericolo crescente e non accenna a rallentare. Di conseguenza, le PMI devono essere in grado di prevenire gli attacchi ed implementare una corretta ed agile strategia di cybersecurity. I metodi utilizzati dagli hacker sono in costante evoluzione, quindi le aziende devono essere pronte a cambiare il loro approccio allo stesso ritmo. Dati gli esiti devastanti, è essenziale che questo diventi una priorità per ogni PMI.

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Bricofer, l’azienda italiana colpita dal ransomware LockBit 2.0

Bricofer LockBit 2.0

Bricofer Italia, azienda specializzata nella vendita al dettaglio di materiali edili, utensileria e hobbistica, è stata di recente vittima di un attacco di hacking: il ransomware LockBit 2.0.

Cosa è successo a Bricofer Italia durante l’attacco di LockBit 2.0

Il gruppo ransomware attaccante, LockBit, ha denunciato l’attacco e fatto partire il conto alla rovescia per la pubblicazione online dei dati rubati. Per capire che cos’è successo bisogna tornare al 28 dicembre 2021, quando i sistemi dell’azienda sono stati attaccati.

I cyber criminali hanno estratto circa 2000 file con dati contabili e informazioni sensibili sui clienti titolari della “carta fedeltà”, fra cui indirizzi email e documenti di identità e non c’è stato accordo fra i titolari dell’azienda e i cyber criminali.

A fare notizia è sicuramente il silenzio dell’azienda colpita. Niente comunicati stampa, aggiornamenti sul sito, niente avvisi ai clienti coinvolti. Una situazione che si ravvisa sempre più di frequente in Italia, man mano che le vittime di attacchi cyber aumentano.

Un atteggiamento in contrasto con una normativa che impone la denuncia dell’accaduto entro 72 ore. Una best practice, operata da aziende mature e responsabili, prevede invece un aggiornamento tempestivo di clienti e fornitori di quanto accade, con la massima trasparenza.

Cos’è e in cosa consiste il LockBit

Si è trattato di un attacco ransomware con la tecnica del doppio ricatto. LockBit 2.0 è un ransomware relativamente nuovo, ma divenuto molto popolare e conosciuto in poco tempo. Un RaaS particolarmente famoso in Italia per il suo coinvolgimento negli attacchi contro la Regione Lazio e Accenture. A livello internazionale è stato il gruppo più attivo nel terzo trimestre 2021, con oltre 200 vittime.

Lo scopo primario di un’infezione da LockBit è quello di impattare quanto più possibile il business delle organizzazioni che colpisce, al fine di spingerle strategicamente verso una trattativa dove il pagamento del riscatto risulti sempre la via più facile e sicura per garantire il ripristino delle attività.

Quasi la totalità delle vittime sono infatti imprese commerciali alle quali viene chiesta una cifra media che varia fra gli 80 ed i 100 mila dollari di riscatto.

Tale cifra può cambiare di molto in base alla tipologia ed al settore in cui opera la vittima.

Come proteggersi da simili minacce?

Il ransomware che si diffonde attraverso i criteri di gruppo rappresenta l’ultima fase di un attacco.

L’attività dannosa dovrebbe diventare evidente molto prima, per esempio quando i criminali informatici entrano per la prima volta nella rete o tentano di hackerare il controller di dominio.

Per raggiungere lo scopo i cybercriminali usano spesso tecniche di ingegneria sociale ed e-mail di phishing per ottenere l’accesso iniziale.

Nel caso delle imprese, per evitare che i propri dipendenti cadano in questi trucchi, occorre migliorare la loro consapevolezza della sicurezza informatica con una formazione costante ed aggiornata.

LockBit rappresenta una minaccia molto importante per organizzazioni pubbliche e private.

Con moltissima probabilità continuerà a ricevere miglioramenti ed aggiornamenti: pertanto è consigliabile adottare ogni precauzione e pratica per scongiurare un simile attacco ed evitare spiacevoli conseguenze.

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Attacco hacker alla Regione Lazio: l’importanza della Cybersecurity

attacco hacker regione lazio
attacco hacker regione lazio

L’attacco hacker alla Regione Lazio ha causato un blocco totale senza precedenti: ecco perché è fondamentale avere un’infrastruttura adatta e protetta.

Dopo aver carpito le credenziali di un amministratore di sistema di alto livello della Regione Lazio, l’attacco hacker ha portato delle conseguenze pressoché disastrose. Al punto tale da paralizzare non solo il settore sanitario — e quindi le prenotazioni per i vaccini (ma anche per qualsiasi visita medica) e la stessa campagna vaccinale — ma tutte le attività della Regione.

Come i cybercriminali sono riusciti a bucare la rete

Recentemente si è scoperto che a tenere aperto il computer del dipendente regionale di Frosinone in smart working sarebbe stato il figlio durante la notte.

Stando a quando ricostruito dagli investigatori, i criminali hanno quindi carpito ed utilizzato le sue credenziali per entrare nel sistema della Regione.

Hanno poi usato un software chiamato Emotet, una sorta di cavallo di Troia che ha creato una breccia e gli ha dato il pieno controllo del sistema per eseguire operazioni più profonde. A questo punto tutto era pronto per il passaggio finale, ovvero l’inserimento del ransomware, il programma che ha criptato i dati, anche lo stesso backup. Per poi chiedere un sostanzioso riscatto.

In cosa consiste il ransomware

Questo tipo di procedura ricalca un copione ormai consolidato, favorita però dall’assenza di un sistema di autenticazione a due fattori da parte del dipendente. Si tratta infatti di una doppia misura di sicurezza, che oltre a username e password chiede un secondo modo per confermare la propria identità, come per esempio un sms sul telefono o un’app che rilascia un codice.

Dopo essere riusciti ad entrare nel sistema, i criminali informatici bloccano l’accesso ai file e ai dati degli utenti e chiedono il pagamento di un riscatto in bitcoin per renderli nuovamente accessibili. In caso contrario l’intero sistema rimane inutilizzabile. Nonostante si riesca a eradicare il virus prima del ripristino dell’attività, non si è sicuri che basti a far tornare tutto come prima.

Negli ultimi tre anni i ransomware hanno avuto un’impennata in tutto il mondo: sono silenziosi, efficaci e molto remunerativi. Ci si accorge della crittazione solo quando tutto è ormai perduto e in genere le vittime, principalmente le aziende, pagano. In caso contrario i criminali minacciano di rendere pubblici alcuni dei dati che hanno criptato, tra cui dati sensibili dei clienti, brevetti e progetti in sviluppo.

Non eliminare lo smart working, ma implementare la sicurezza

Il Messaggero, nell’edizione romana, parlando dell’attacco hacker alla regione Lazio ha riportato un’inverosimile soluzione per risolvere il problema in futuro: l’indiscrezione è quella che la regione starebbe richiamando in sede tutti i dipendenti e gli addetti ai sistemi informatici per procedere a ulteriori verifiche sui dispositivi in loro possesso. Sostenendo che in qualche modo lo smart working abbia contribuito alla buona riuscita dell’attacco.

In realtà lo smart working e gli attacchi hacker non sono due realtà necessariamente collegate tra loro. Questi ultimi, infatti, avvengono continuamente anche sui dispositivi interni alle aziende.

La vera sfida sta nel respingerli ed avere una infrastruttura adatta e protetta che faccia sì che nessuno possa intrufolarsi nei sistemi aziendali.

Quando si lavora in remoto, le attenzioni sono le stesse che bisogna avere quando si lavora in ufficio:

  • impostare password complesse su router e rete wi-fi
  • creare regolarmente una copia di backup dei dati importanti
  • lavorare su dispositivi forniti dall’azienda
  • aggiornare i sistemi e il software
  • prevedere un’adeguata formazione dei dipendenti

Una delle tecniche più usate per infettare i computer con i ransomware è infatti l’ingegneria sociale. È importante perciò informarsi (e, nel caso delle aziende, informare tutti i dipendenti) su come si possano rilevare i malspam, i siti web sospetti e gli altri potenziali tranelli. E soprattutto, usare il buon senso.

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